giovedì 16 agosto 2012

Un po' Sardi e un po' no. Forse un po' troppo comodo.


In questa foto, che ho scattato dallo schermo del televisore, a mio avviso si evince uno spaccato del giovane sardo di oggi. Infatti chi non è italiano penserebbe che quei due ragazzi tifano due nazioni diverse, confondendo magari la bandiera sarda con quella georgiana. Certo, quei ragazzi tifano un atleta italiano. In fin dei conti sono italiani: "linguisticamente", "culturalmente", "politicamente". Ma sono anche sardi, per gli stessi motivi (mi permetto tutt'al più di aggiungere "geograficamente").


§ Linguisticamente il giovane sardo capisce la sua lingua quasi sempre, ma sempre meno la parla. La tradizione orale e non scritta è stata una disgrazia per i nuragici, dei quali sapremmo oggi ben di più se essi avessero avuto una qualche forma di scrittura. Oggi non è molto diverso dal tempo del nuraghe, anzi. La progressiva italianizzazione figlia della TV ha reso l'uso della lingua dei nostri padri marginale. Già afflitti da un   falso ed ingiustificato (eppure atavico) sentimento di inferiorità rispetto allo straniero, i sardi come noto spesso provano pudore (per non dire vergogna) a parlare la propria lingua al di fuori di un contesto familiare o strettamente circoscritto al paese. Per il resto del mondo essi sono italiani. Ne parlano la lingua, appunto.
§ Culturalmente quei giovani sardi sono italiani. Ne conoscono storia (italiana appunto, non sarda), sanno degli Etruschi ma non dei sardi nuragici, di Scipione l'africano, ma non di Ichnusa, sanno di Lorenzo il magnifico, ma non di Mariano IV, sanno di Mazzini ma non di Pitzolo. Sono italiani nell'aver studiato gli affluenti del Po e non l'idrografia sarda, nell'aver studiato Dante piuttosto che la Carta del Logu, i monti degli Appennini e non quelli del Limbara. Sono i figli di quella forzata italianizzazione che ci fa consci delle bellezze di Ravenna e ignoranti di quelle di Castelsardo, della bellezza di San Pietro piuttosto che di quella di Saccargia.
§ Politicamente quei due ragazzi sono italiani, in quanto votano all'interno di un sistema politico italiano. Non meno sono sardi, perché potrebbero, utilizzando il medesimo strumento che è il voto, decidere di scindere il destino della loro isola dall'italia. Potrebbero, appunto.

Eppure questi due ragazzi, così inseriti nel contesto politico, culturale, linguistico italiani sentono spontaneamente la necessità di evidenziare questa loro peculiarità, con quella bandiera, quelle fascette. Perchè? Non sarebbe bastato scrivere all'interno della parte bianca della bandiera "Selargius" o "Oschiri" per definire il posto da dove provengono?
Certo è che il loro desiderio di esplicitare la loro differenza è spontaneo. Non meno certo è che questi ragazzi sono italiani. Ecco, questa dicotomia tra sardo ed italiano, tra piccola e grande patria è a mio avviso ciò che sta alla base della particolarità di quella foto. In questa doppia Patria, in questo prendersi il buono dell'una (l'atleta italiano che gareggia alle olimpiadi) e quello dell'altra (l'orgoglio di far parte di una piccola patria).  

Ed è una posizione che io reputo un po' troppo comoda. 


E' infatti comodo sentirsi italiani quando si guarda la Vezzali, e sardi quando si legge dei privilegi della "Casta" che peraltro noi sardi come gli altri italiani abbiamo contribuito a mettere dove sta.

Forse è giunto il momento di rendersi conto che si può andare alle olimpiadi e magari non vincere neppure una medaglia, che si può essere orgogliosi supporter di una squadra che non arriva alle fasi finali di un europeo di calcio, che si può tifare una squadra che quando va bene esce al secondo turno della europa league. Che essere davvero cittadini una piccola patria può essere non meno bello di quello di essere cittadini in un (grande?) patria.
E forse, chissà, potrebbe essere bello scoprire che ci sono altri sport oltre il calcio, altri valori oltre alla vittoria ad ogni costo, che se non vinci la colpa è sempre dell'arbitro e non tua. 
E che magari ci possa essere una qualche soddisfazione a non vedere più le risorse che sarebbero dovute essere usate per le tue strade, i tuoi ospedali, le tue scuole sono davvero spesi per quello e non per alimentare una guerra in Afghanistan, o inutili presidi militari in Libano, Kossovo, o nell'acquisto di modernissimi cacciabombardieri.

Forse, davvero, quei ragazzi potrebbero andare a Londra, a Rio o dovunque ci sarà una olimpiade e tifare un atleta sventolando una sola bandiera, ed essere riconosciuti come cittadini sardi. E non importa se il nostro atleta arriverà penultimo. Alle olimpiadi non vale forse il detto di De Coubertin "
l'importante è partecipare"?



Andrea Randaccio
iRS Gallura


venerdì 3 agosto 2012

Intervista a Giovanni Masala


Giovanni Masala, docente di lingua e civiltà sarda presso il dipartimento di Lingue e Letterature romanze delle Università di Stoccarda e Zurigo, editore dei raffinati volumi della collana Sardinnia, è certamente uno dei maggiori alfieri della cultura Sarda all’estero.

Giovanni, ti va di descriverti?
E’ certamente difficile descriversi, dicoamo che ho fatto della mia passione (la lingua sarda) un lavoro, anche se non sono diventato, ma non era questo l’obiettivo. Insegno sardo all’univeristà di Stoccarda (città in cui vivo) e di Zurigo , il più bel lovoro del mondo! E inoltre il mio professore di Stoccarda, Georg Maag, mi ha aiutato a fondare Sardinnìa, la collana studi sulla Sardegna, di cui io sono il curatore. Finora abbiamo pubblicato 12 volumi, uno all’anno, su svariati argomenti sardi. Un click su questo sito: http://www.sardinnia.it mostra in breve i nostri sforzi.


Come è conosciuta la Sardegna in Germania? Che idea ha quel popolo di noi?
Un giorno a casa mia a Stoccarda è venuto un idraulico per una riparazione, un tedesco e mi ha chiesto la mia provenienza. Alla mia risposta mi disse che noi Sardi siamo “diversi" avendo avuto colleghi di lavoro sardi e reputandoli più affidabili rispetto agli altri italiani. Non so se è stato un complimento o meno, ma una mezza verità sicuramente. A volte se dici “Ich bin aus Sardinien” mi rispondono “Ah, bist du Sizilien” (vieni dalla sicilia). Ecco diciamo che molti confondono e scambiano la Sardegna con la Sicilia. Io sono là per farci conoscere meglio.
 
Ti senti indipendentista e se si come lo sei diventato?
Si mi sento indipendentista e sicuramente la lontananza dalla mia terra ha giocato un ruolo fondamentale. Ma la maggior parte dei Sardi all’estero, va detta la verità, la pensa diversamente. Aver conosciuto 10 anni fa iRS mi ha dato magior coscienza.

Reputi che la Gallura abbia delle specificità nell’ambito della nazione Sarda? Dicci la tua.
Per quanto riguarda i miei interessi scientifici e personali, la sua specificità linguistica e culturale, deve essere preservata, prima di tutto introducendo in tutte le scuole elementari galluresi due o tre ore obbligatorie della variante locale, esattamente come già si fa con l’inglese.

Dal tuo punto di vista la Sardegna potrebbe essere pronta per la piena sovranità nel medio termine?
Sicuramente potrebbe essere pronta ma è necessario che nel breve termine si punti al federalismo alla tedesca, in cui lo stato detiene alcuni ministeri, mentre il resto è di competenza delle regioni. Ma è fondamentale che a breve termine in Italia, al posto del senato, venga istituito il cosiddetto “Bundesrat” ovvero il Senato delle Regioni, formato dai preseidenti dei governi regionali e tre o quattro assessori, che una volta al mese si riunirebbe a Roma per discutere e approvare le leggi di competenza regionale. A seconda delle scadenze elettorali delle singole regioni il Bundesrat potrà essere di maggioranza di destra o di sinistra. Solo così le regioni italiane, ed anche la Sardegna, avranno davvero più poteri. Purtroppo la “attuale” proposta italiana per l’istituzione del senato delle regioni non prevede un sistema “tedesco” ma un senato in cui una giunta regionale non ha neanche diritto di voto, pertanto esautorato. Incredibile!

Ho una notizia per te. Diventi presidente della Sardegna: quale sarebbe la tua priorità?
Questa davvero è una domanda problematica e potrei darti una risposta “deformata” professionalmente. Che si introducano finalmente due o tre ore di Sardo nella variante locale nelle scuole elementari e che si assumano, solo a questo scopo, di concerto con il ministero, 3-400 insegnanti. Così dalla consapevolezza ed il prestigio della lingua locale dopo 10 o 15 ani si potrebbe passare a discutere di lingua unificata o comune.
Visto che vuoi darmi spazio ascolta i 9 minuti di musica e immagini dall’opera lirica i Shardana del nostro Ennio Porrino: ti verranno i brividi.


Andrea Randaccio
iRS Gallura