venerdì 16 novembre 2012

iRS Gallura intervista Emiliano Deiana



Emiliano Deiana è il Sindaco di Bortigiadas. Giovane (38 anni) ma già con una significativa esperienza amministrativa alle spalle, è anche autore di un blog Diario di un Sindaco di campagna, che porta a mio avviso un interessante contributo oltre che a vicende politiche di rilevanza più italiana, anche e forse soprattutto locali, spaziando da temi più vicini al suo paese natale ad altri come il lavoro, la lingua, il territorio sardo.


Emiliano, raccontaci un po’ di te. Come ti descriveresti?

Sono una persona assolutamente normale. Mi piace leggere, ascoltare della buona musica. Sono una persona curiosa, ecco. Quello che mi muove è la curiosità di imparare cose nuove, di conoscere luoghi e persone diverse. Anche se da questo punto di vista sono un viaggiatore sedentario, viaggio molto con la fantasia e in questo mi aiutano i Social Network grazie ai quali riesco a mantenermi in contatto con molte persone con le quali difficilmente avrei potuto avere un dialogo. Dalle persone normali a quelli che si considerano “potenti”.

Tempo fa ho letto con interesse alcuni tuoi interventi sulla lotta allo spopolamento dei piccoli comuni Galluresi. Come stai portando avanti concretamente questa battaglia a Bortigiadas?

Una premessa. Da quando sono stato eletto Sindaco di Bortigiadas nel 2005 ad oggi è cambiato il mondo. Eppure già da allora, e lo scrivemmo nel programma elettorale, le avvisaglie della crisi c’erano tutte. E l’unica risposta che si poteva (e si può dare) alla crisi è una risposta locale.
Solo con un progresso armonico delle comunità, a partire da quelle più piccole e marginali, ci si può salvare. E ci si salva tutti insieme non ciascuno per proprio conto. Le politiche che abbiamo attivato a Bortigiadas sono politiche esportabili. Dal 2005 abbiamo istituito un contributo di 1.000 euro per ogni figlio nato. Un contributo per i bambini da 0 a 6 anni che accompagna le famiglie nella crescita dei figli, nella loro cura e nel loro benessere. Questo non è solo un atto concreto – monetario – è un atto altamente simbolico perché stiamo dicendo “nessuno in questo Paese resterà solo. E lo abbiamo dimostrato difendendo, con le unghie e con i denti la presenza della scuola nel nostro comune. Abbiamo fatto investimenti importanti nei campi della cultura, dell’ambiente, delle energie rinnovabili, della difesa del suolo, della riqualificazione urbana. Abbiamo attivato, per la prima volta nella storia comunale di Bortigiadas, una politica pubblica per la casa con l’acquisto, la ristrutturazione e la riqualificazione di immobili dismessi da destinare prioritariamente alle giovani coppie. Ogni intervento da solo non basta, ma all’interno di un sistema complesso di politiche pubbliche è possibile, se non invertire la tendenza, almeno porre un argine allo spopolamento.

Come vedi questo interesse della sinistra isolana ad istanze di tipo “sovranista”, quali quelle che iRS sta portando avanti?

La dico in maniera chiara, come mio solito. La sinistra, Il Pd in particolare, non può far finta di nulla davanti alle istanze di indipendenza. Io vorrei i sardi indipendenti, prima della Sardegna indipendente. Li vorrei indipendenti nel pensiero, nell’elaborazione politica. Li vorrei indipendenti dal punto di vista energetico e senza bisogno di consumare l’ambiente e farcelo devastare. Li vorrei indipendenti nella scuola, nell’Università, nella organizzazione del sistema di governo locale.

La specificità Gallurese nell'ambito della Sardegna. Dicci la tua.

Io sono gallurese al 100%, penso in gallurese, parlo in gallurese. Ma non lego questa mia appartenenza umana, culturale al mantenimento di istituzioni – penso alle Province – difficilmente difendibili con la pubblica opinione. Un sistema istituzionale ridondante è nemico dei popoli così come è nemico dei popoli il proliferare di burocrazie intoccabili. In Gallura abbiamo un deficit culturale: pensiamo – i più pensano - di poter fare a meno della Sardegna. Io non voglio fare a meno di nessuno. Io vorrei essere Sardegna. Ma in Gallura abbiamo anche una grande opportunità: la osserviamo la Sardegna dall’alto. E dal basso guardiamo la Corsica. E di lato osserviamo il Continente. Siamo il crocevia della Sardegna. E di questo noi dobbiamo averne coscienza. Non oltre la Sardegna, ma dentro. In tutto e per tutto.

Vedi realizzabile una piena sovranità della Sardegna nel medio termine?

Sono un riformista. Ma un riformista che ha chiaro l’obiettivo. L’obiettivo è una Sardegna davvero sovrana. Ma sono altresì consapevole che le riforme non si fanno senza popolo. Ed è per questo che lavoro a un Pd autonomo, magari federato, con quello nazionale. E le forze politiche che hanno – pur coi difetti e le degenerazione che non nego e combatto – sono fondamentali per una svolta epocale. Non so quantificare il tempo. Serve un cambio culturale che ha bisogno di tempo, che ha bisogno di entrare nel profondo nella comunità sarda. Spesso i sardi sono stati i peggiori nemici di se stessi. Per questo, come passaggio intermedio, vedo l’approvazione di un nuovo Statuto “spinto”, estremo nella rivendicazione dei poteri e delle competenze. Vorrei la Sardegna come isola di pace, che rifiuta ogni servitù militare e ogni servitù ambientale. Sui tempi non so davvero cosa dire: ma quello che era inimmaginabile ieri può essere pensato oggi. E quello che è pensato oggi non credo sarà impossibile da realizzare in un futuro prossimo.

Diventi presidente della Sardegna: quale sarebbe la tua priorità?

Affrontare, con politiche attive, l’immenso problema demografico della Sardegna. Lo fare affermando che il sistema istituzionale sardo si fonda sulle 377 autonomie comunali. Da Cagliari a Baradili, da Sassari a Monteleone Roccadoria, da Olbia a Bortigiadas. Ed attiverei politiche serie che prevedano un ritorno alla terra: all’agricoltura, all’allevamento, alla pastorizia. Un ritorno alla terra che è parte di un enorme investimento sulla scuola e sulle Università. Perché non si salveranno, nei prossimi decenni, i popoli più forti, ma quelli più istruiti. In un sistema così pensato è fondamentale l’apporto della migrazione. La Sardegna si deve trasformare da terra di migrazione in terra di accoglienza. Accogliere chi è emigrato dalla Sardegna per bisogno ed accogliere flussi migratori che dall’Africa spingono verso l’Europa. La Sardegna saprà stare in un mondo che cambia se sarà parte di quei cambiamenti, non se vi si opporrò passivamente accentuando il declino che già vediamo essere realtà e, se le cose non cambieranno, essere il futuro. Per questo vedo nell’autonomismo “spinto”, nel sovranismo le basi per una futura indipendenza che non dovrà mai essere declinata nella forma di chiusura verso il mondo, ma nella formula più rischiosa, ma più affascinante, dell’apertura al mondo, alla pace, alla fratellanza di popoli.




Andrea Randaccio
iRS Gallura